"Regalo di Natale" di Massimo Fagnoni


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Racconto  tratto dalla raccolta “Solitario bolognese”, La luna e la neve e altri racconti
Giraldi Editore 2013

 

Lui si sta radendo nel piccolo bagno della camera nello sperduto bed&breakfast nei pressi di Marzabotto, dove ha trascorso le ultime notti con lei, la sua nuova ragazza. Hanno trascorso due… no anzi, pensandoci meglio, quasi tre notti insieme. Si sono conosciuti a casa di Gianni Bencivenni, filosofo, docente universitario, profondo conoscitore del genere umano e amante di quello femminile. Anche lui è un tradizionalista, alto, moro, laureato in Storia contemporanea, giovane docente universitario a Urbino, brillante, seduttivo. Lei è una studentessa di Storia, facoltà di Bologna: non sarebbe eticamente possibile frequentare una studentessa della propria facoltà, anche se molti se ne fregano dell’etica. Ragazza brillante, ventidue anni morbidi e profumati di entusiasmo e sensualità. Mentre la schiuma cade soffice nel lavandino, annerita dalla sua barba dura di trentacinquenne, gli tornano in mente le ultime serate, dopo la piccola festa a casa da Gianni, più maturo di lui, ma non meno appassionato di femmine studiose. La splendida fanciulla lo ha seguito come un cucciolo sperduto nella piccola camera del nido di Marzabotto dal quale si gode una vista verdissima e gelida della valle circostante. Irene, così si chiama la ragazza, lo ha seguito docile e semi addormentata sul sedile della vecchia Bmw nera; si sentiva in sintonia, gli ha confidato sul grande terrazzo affacciato sulla via Irnerio, durante la festa a casa dell’amico, mentre fumava una canna che qualcuno aveva loro passato. Si sono baciati su quel terrazzo e lui ha esplorato, con la sua lingua matura di docente singolo ed europeo, le belle gengive rosee della ragazza, ha saggiato la consistenza carnosa della sua lingua così preparata mentre parlavano di mercanti veneziani nel Cinquecento. Si sono baciati a lungo. Irene sapeva di tequila e limone, sigarette e succhi gastrici, ma era favoloso poterla baciare, di nuovo una studentessa bella, giovane ed entusiasta. È così gratificante il mestiere del docente universitario, fino a quando l’età lo permetterà, fino a quando non si innamorerà definitivamente. Sorride nello specchio del piccolo bagno rosa e pulito, gli occhi grigi si stringono e una piccola ruga compare ai margini del sorriso, un presentimento, i primi segni del cambiamento. Non vorrai vivere in eterno?, borbotta allegro e pensa alle lunghe gambe di Irene, al sedere perfetto che riesce a intravedere dalla sua posizione. Anche lui un tempo riusciva a dormire in ogni luogo, in ogni posizione, in qualsiasi letto… un tempo. Irene è fantastica, forse potrebbe essere un approdo almeno per qualche mese, dondola la testa lento e sorride di nuovo. Ma vedi cosa vado a pensare, sto proprio invecchiando, lei partirà oggi per Firenze, andrà a trovare i suoi, probabilmente ha un fidanzatino che l’attende, un giovane studente di Architettura, magro, riccioluto, di sinistra e progressista che non saprà mai di questi tre giorni, beato lui e viva l’amore. L’uomo controlla i tempi, fra un’ora e mezza Irene dovrà salire sul treno per Firenze, oggi è la vigilia di Natale, ci sarà confusione e folla ovunque. La figurazione di gente in movimento, masse allo sbaraglio alla ricerca di un binario, crea nell’uomo un piccolo sommovimento intestinale. Lui odia le folle, forse perché la Storia non è altro che lo studio di grandi spostamenti di masse, guerre, rivoluzioni, colpi di Stato, dittature, movimenti culturali, sconvolgimenti economici, e alla base l’uomo, con la sua incredibile capacità di complicare situazioni semplici. Basterebbe così poco per essere felici. Bussano alla porta della stanza. L’uomo apre e trova sulla soglia un carrello con sopra la colazione, toast, prosciutto, burro, marmellata, succo d’arancia e caffè. Deve memorizzare quel piccolo bed&breakfast, veri professionisti dei piccoli particolari, quelli che allietano le brevi permanenze. Irene si sveglia, allunga le lunghe braccia sottili. Sposta i capelli lisci dagli occhi con una tale naturalezza, come se si fosse appena svegliata nel suo letto di casa, quello con gli orsacchiotti di peluche. «Sei talmente bella», gli scappa. Lei sorride ed è come se non avesse mai dormito o fatto l’amore e gridato in quella piccola stanza e detto porcherie e riso, gemendo piano. Ora è solo ciò che appare: una bellissima ragazza di ventidue anni. Allunga le braccia verso di lui sorridendo, apparentemente felice. «Anche tu non sei male», riesce a dire con voce roca di persona appena risvegliata. Lui, a petto nudo, con l’asciugamano sulle spalle e lo spazzolino da denti in mano, l’abbraccia, sedendosi con cautela sul grande letto di ferro battuto. Fuori comincia debolmente a nevicare. Il viaggio verso la città avviene come in un sogno, ascoltano musica dalla radio nazionale che annuncia giornata di grandi spostamenti. Mezza Italia si muove per tornare a casa. È Natale. «Non ho voglia di lasciarti, non so come farò senza te e il tuo sedere nei prossimi giorni», dice Irene mentre accende una lunga sigaretta sottile. L’uomo scoppia a ridere. «Non mi vorrai fare credere che a Firenze non ti aspetta nessuno?, scommetto che in stazione c’è già qualche baldo giovane in attesa.» Lei lo guarda di traverso, come per studiarlo. «Non avrai preso informazioni su di me?» L’uomo ride di nuovo. «Non sono così possessivo, ma una bella ragazza come te è improbabile che non abbia un fidanzatino nascosto da qualche parte.» «Tu sei la cosa più incredibile che mi sia capitata in tutta la vita, ti voglio rivedere. Passate le solite festività del cazzo voglio venirti a trovare a Urbino o dove vorrai, perché anche tu vuoi, vero?» Per la prima volta una dichiarazione d’intenti. Irene è interessata a lui, in fin dei conti non è molto più giovane, tredici anni, potrebbe essere la giusta differenza, un’avvenente fidanzata, giovane ma non troppo, colta, una storica come lui. La guarda e, valutando bene le distanze dal camion davanti, la bacia un attimo prima di decidere il sorpasso. La Bmw scivola veloce sull’asfalto drenante dell’autostrada per poi immettersi nella tangenziale bolognese. «Certo che voglio rivederti, ma non devi sentirti in obbligo nei miei confronti, se hai altri progetti o altre storie lo capisco.» Lei gli accarezza piano una coscia con quelle mani lunghe da violinista, lui sente un fremito mentre parcheggia l’auto nel sotterraneo di piazza VIII Agosto. Camminano abbracciati verso la stazione, alti, lui un cappotto nero corto, lei un lungo impermeabile color panna. Sono attraenti nella neve sottile che cade sulla vigilia di Natale.
Arrivano puntuali al binario, il treno è già pronto alla partenza. Lui la bacia teneramente, le labbra morbide si incontrano a spezzare il gelo circostante. «Questo è il mio regalo di Natale», le dice allungando una valigetta nera, una di quelle utilizzate per i personal computer. Irene spalanca la bocca coprendosela subito con la mano. «Non ho pensato a un regalo, non ne ho avuto il tempo, quando lo hai preso?» L’uomo sorride. «Essere docente a volte offre diverse opportunità, ho utilizzato uno dei miei collaboratori, altrimenti cosa serve avere potere?» Lei lo abbraccia più stretto, una lacrima le scende dai grandi occhi. Basta così poco a volte per conquistare una donna, pensa l’uomo soddisfatto. Un’impercettibile sensazione di vuoto alla base dello stomaco gli crea per un istante un momento d’indecisione, come se davvero provasse per la prima volta la concretezza dell’addio. «Una promessa, devi aprire la valigetta solo quando sarai a Firenze, in stazione, poi mi potrai chiamare dalla città che amo da sempre, non mi va che apri il pacco davanti a sconosciuti nello scompartimento cominciando a fare versi strani, non capirebbero, d’accordo?» Irene scoppia a ridere. «Mi conosci già così bene? D’accordo, aprirò la valigetta solo al mio arrivo, anche se sospetto di sapere già cosa contiene.» «Mi avevi parlato di un computer rovinato dai virus, con quello non dovresti più avere problemi.» «Non dovevi, è troppo.» «Tu sei troppo, sei bellissima, non dimenticarlo mai, ti voglio rivedere, lo voglio molto.» Lei annuisce, una nuova lacrima spunta ruzzolando sul naso lungo e perfetto. Irene sale sul treno e rimangono a guardarsi tutto il tempo fino a quando il treno non scompare all’orizzonte. L’uomo estrae dalla tasca del cappotto un cellulare, compone un numero. «È partito.» «Tutto a posto?» «Tutto a posto, arrivato a destinazione farà il suo dovere.»
«Sei sicuro? Hai predisposto il timer? Speriamo che arrivi puntuale.» «Niente timer, questa volta sarà manuale, aprirà la valigetta e buon Natale.» «Questa me la devi raccontare quando ci vediamo, come hai fatto?» «L’ho fatta innamorare… più o meno, a proposito… buon Natale.» L’uomo entra nei bagni della stazione, estrae la sim card del telefonino e la butta nel cesso, il cellulare lo getta nel cestino dei rifiuti e fischiettando Last Christmas si avvia sorridendo verso piazza VIII Agosto.


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