"Il caso di Adelaide Maltese" di Laura Veroni


 

 

Primi del Novecento ​
ADESSO
Che cos’era tutto quel buio che regnava attorno? Cos’era quel silenzio? Perché non riusciva a muoversi?
Non c’era abbastanza ossigeno, non riusciva a respirare. Stava sognando? Sì, era così. Stava sognando: di trovarsi in una dimensione a lei sconosciuta e terrificante. Ansia, angoscia, paura, terrore, panico. Era un crescendo di emozioni, un tumulto di sensazioni che la stavano travolgendo. Perché non riusciva a svegliarsi da quell’incubo? Come un sogno nel sogno, una presenza cosciente nella fase di dormiveglia, avvertì la sua stessa voce nella testa che le imponeva di aprire gli occhi. “Svegliati, Adelaide, svegliati! E’ solo un brutto sogno, un incubo. Apri gli occhi!”. I battiti del cuore erano veloci, li sentiva martellare furiosamente nel petto. ​
Spalancò la bocca, cercando di prendere aria per i polmoni. Fu un movimento meccanico, simile a quello di una marionetta. La mandibola cadde riversa sul mento. Il puparo doveva aver mollato i fili.
Fu allora che Adelaide Maltese aprì gli occhi, all’improvviso, inspirando violentemente, tanto da emettere un singulto che risuonò muto alle sue orecchie.
Perché era ancora buio? Doveva assolutamente allungare la mano verso il comodino, in cerca della lampada a olio. Dopo quell’incubo terribile aveva bisogno di luce, di vedere. Avvertì subito che qualcosa non andava. L’aria era pesante più del solito. Faceva caldo, ma, soprattutto, non riusciva a muoversi. Era come se parte del suo corpo fosse paralizzata. Il cuore riprese a martellare. Avrebbe svegliato il marito Aleardo, che dormiva alla sua destra nel letto a baldacchino e gli avrebbe chiesto di accendere lui stesso la lampada. “Scusatemi, signore, ho fatto un sogno bruttissimo e ho tanta paura”. Gli avrebbe detto così. Provò a formulare quella semplice frase, ma si rese conto che dalla bocca non usciva alcun suono. Stava forse sognando ancora? Perché non riusciva a svegliarsi? ​
Un rumore. Che cos’era? Delle voci. Sì. Voci che parevano filtrate. I suoni erano ovattati, come se avesse del cotone infilato nelle orecchie. Riconobbe senza esitazione la voce di Aleardo. Ma chi erano le altre persone che parlavano con lui? ​
Acuì i sensi, sforzandosi di captare quello che stava avvenendo intorno a lei. Sentì la voce della figlia maggiore, Clara, quella dei più piccoli, Adalberto, Federico e Adelmo e quella di sua madre. ​
IL GIORNO PRIMA
Adelaide Maltese era intenta nelle faccende domestiche avvolta nel lungo grembiule scuro. Aveva i capelli raccolti in una crocchia dietro la nuca, tenuti da una retina. Di lì a breve, Aleardo sarebbe tornato a casa dopo il lungo viaggio di lavoro che lo aveva portato dal centro Italia fino in Inghilterra per testare i nuovi tessuti che facevano concorrenza a quelli italiani. Aleardo Maltese era un sarto molto noto nella sua città e tutti si rivolgevano a lui per avere abiti di alta manifattura.​
Adelaide non vedeva l’ora che il marito arrivasse a casa, da troppo tempo era lontano. Sperava che avrebbe portato buone nuove. La manifattura italiana versava in uno stato di crisi, da che altri paesi europei, primo tra tutti l’Inghilterra, avevano avviato una politica di concorrenza spietata. Molte sartorie avevano chiuso i battenti e i proprietari delle botteghe si erano dedicati a tutt’altra attività, come ad esempio il lavoro dei campi per portare sul mercato i prodotti tipici dei paesi mediterranei: olio, agrumi e vino. Adelaide aveva ricevuto da giorni una missiva che la informava dell’arrivo di Aleardo previsto per quel tardo pomeriggio. Già immaginava un sereno fine settimana casalingo, con la famiglia finalmente riunita. Per l’occasione era andata dai contadini del podere vicino a comprare selvaggina e verdure fresche che avrebbe cucinato per cena. ​
Erano, quelli, giorni di sole e immaginò che lei e Aleardo avrebbero fatto lunghe passeggiate per i campi insieme al cane Grigio, mentre l’anziana madre si sarebbe occupata dei bambini. Adelaide e Aleardo amavano le lunghe camminate all’aria aperta. Si sarebbero inerpicati lungo la collina, fino a raggiungere i vitigni e avrebbero assaggiato l’uva direttamente dai tralci, assaporandone la dolcezza.​
Era un ottobre caldo, le giornate si stavano via via facendo sempre più brevi, ma si poteva ancora sfruttare la luce fino al tardo pomeriggio. Adelaide adorava scendere dalla collina col marito al suo fianco, reggendo con una mano l’ampia gonna, lunga fino ai piedi, per non inciampare, mentre lui si appoggiava al bastone per trovare sostegno, offrendo il braccio alla consorte. ​
Le piaceva tornare a valle quando le ombre cominciavano a calare, osservare il sole come una palla di fuoco scomparire dietro alle montagne che circondavano il lago mentre tingeva di strisce di rosso, rosa e arancio intenso il cielo color indaco. Si vedevano gli uccelli punteggiare quella tavolozza di colori come tante virgole nere. Grigio correva a rotta di collo giù per il pendio erboso, allontanandosi da loro quel tanto che bastava per non perderli di vista, poi tornava indietro con passo meno veloce, la lingua penzoloni. Aleardo allora raccoglieva un sasso e lo lanciava lontano e Grigio riprendeva a correre. Adelaide si aggrappava a lui, lasciandosi pervadere da una sensazione di appagamento interiore, di serenità. Si sentiva in pace con l’universo in quei momenti. Di tanto in tanto, appoggiava la testa sulla spalla di Aleardo poi sollevava il capo in cerca del suo sguardo. Quando i loro occhi si incontravano, gli sorrideva. Era un sorriso carico di tutto quello che avevano vissuto in una vita insieme, una vita fatta di fatiche e conquiste, di duro lavoro, di gioie e dolori, di vittorie e sconfitte, ma soprattutto di amore silenzioso, gelosamente custodito nel proprio intimo e mai confessato, come il pudore impediva di fare. Si riteneva fortunata ad essere andata in sposa ad Aleardo, perché, nonostante il matrimonio fosse stato combinato dalla famiglia, com’era in uso a quei tempi, lei lo aveva amato davvero e ancora lo amava come il primo giorno. Adelaide, nonostante avesse abbondantemente oltrepassato i trent’anni e fosse ormai vecchia per diventare ancora madre, desiderava un altro figlio. Da diverso tempo, però, la divina provvidenza pareva essersi dimenticata di loro e non aveva più portato la gioia di una nuova vita in casa Maltese. ​
Ora, però, aveva un ritardo di circa un mese. Qualcosa le diceva che quella poteva essere la volta buona. Si sentiva strana. Avvertiva da qualche giorno un certo malessere, una debolezza fisica che non le apparteneva. Ricordava che anche quando era rimasta incinta di Clara, la primogenita, si sentiva sempre stanca. Aveva spesso capogiri, sensazioni di mancamento. Così era stato anche con gli altri. ​
Quando Aleardo varcò la soglia di casa, Grigio gli si fece incontro festoso. ​
Clara sedeva davanti al camino a leggere il libro Cuore ai fratelli più piccoli, che la ascoltavano rapiti. Adelaide accolse il consorte con un sorriso caloroso, ma subito si ricompose, assumendo l’atteggiamento sottomesso che si confaceva a ogni buona moglie devota. Non vedeva l’ora di sentirsi raccontare del viaggio, di com’erano gli isolani e via dicendo, ma, soprattutto, non vedeva l’ora che fosse notte per svelargli, nell’intimità della loro stanza, il dolce segreto che custodiva in grembo.​
Era praticamente certa di essere incinta, aveva sintomi chiari di malessere, anche in quel preciso momento. Le girava la testa, si sentiva debole, strana. ​
<<State bene, Adelaide?>>. Le domandò il marito posando a terra la valigia e porgendole il cappotto.​
<<Sì, certo, marito mio. Perché me lo chiedete?>>.​
<<Mi sembrate pallida>>, le disse, scrutandola in viso. <<E anche sciupata>>.​
Adelaide si volse verso lo specchio sopra la credenza. Effettivamente non aveva un bell’aspetto, ma la gravidanza, si sa, nei primi mesi, faceva spesso quell’effetto. Ricordava che, quando aspettava Clara e gli altri figli, le chiedevano tutti se fosse malata. Sorrise alla propria immagine e sfiorò il ventre con la mano.​
<<Venite in cucina, che la cena è quasi pronta!>>.​
<Che cosa avete preparato, madre?>>. Clara smise di leggere e posò il libro sul grande tappeto di pelo d’orso. ​​
<<Una cena speciale, per festeggiare il ritorno di vostro padre>>, annunciò orgogliosa. Sapeva quanto la sua famiglia adorasse la selvaggina e le verdure fresche dell’orto. ​​
Sedevano tutti a tavola, compresa la vecchia nonna, mentre Grigio se ne stava accucciato sotto alla sedia impagliata del padrone, come suo solito, in attesa che gli allungasse qualcosa da mettere sotto i denti. Si respirava un’atmosfera serena. ​
Fuori si stava alzando il vento. Lo si sentiva frusciare tra le fonde degli alberi. ​
La lampada a olio, posata al centro del grande tavolo di legno mezzo mangiato dalle tarme, proiettava ombre informi sulle pareti della cucina. Era bello sentirsi al sicuro, nel tepore della casa riscaldata dal grande camino.​
<<Adelaide, scusatemi se insisto, ma mi sembrate un po’ pallida. Vi consiglierei di farvi visitare da un dottore>>, ribadì il marito.​
Adelaide tamponò le labbra col lembo della tovaglia. Se Aleardo si era accorto che qualcosa in lei era cambiato, significava che il suo stato di donna gravida era evidente. Forse aveva colto il cambiamento perché non la vedeva da quasi un mese. Ma Aleardo nemmeno immaginava quale bella notizia gli avrebbe dato dopo cena.​
A un tratto, Adelaide accusò un forte mal di stomaco, accompagnato da nausea. Avvertì un dolore acuto al centro del petto e una sorta di peso, come se il cibo fosse rimasto lì. Cominciò a sudare freddo e impallidì vistosamente. Contemporaneamente, si sentì pervadere da una forte ansia. Osservò i volti di Aleardo, di Clara, di sua madre e dei bambini che stavano assumendo un’espressione che mutava rapidamente dalla sorpresa alla preoccupazione all’angoscia. La testa le girava e si sentì svenire. Fu questione di attimi, poi non vide più nulla.

Il medico condotto scosse la testa con aria affranta, guardando Aleardo, mentre i bambini e la madre di Adelaide attendevano il responso fuori dalla porta della camera sponsale.
<<Mi dispiace. Temo non ci sia più niente da fare. Il cuore di vostra moglie ha cessato di battere. Non mi resta che decretare il decesso>>. ​
Aleardo trasalì. Con l’aria sconvolta, accompagnò il medico fino alla porta d’ingresso e lo congedò, poi tornò nella stanza, dove la suocera e i figli si disperavano al capezzale di Adelaide. ​

ADESSO
All’improvviso udì la voce di Carlotta, la giovane vedova del fattore che, come correva voce in paese, era segretamente – ma non tanto – innamorata di Aleardo, nonostante sapesse che era felicemente sposato. La riconobbe subito. Che cosa ci faceva Carlotta insieme alla sua famiglia?
<<E’ successo tutto all’improvviso, mentre stavamo cenando>>. Era Aleardo che parlava.​
Le parve di sentire dei singhiozzi. ​
<<Mio Dio, che cosa tremenda!>>. Di nuovo Carlotta. ​
<<Avevo intuito che Adelaide non stesse bene. L’avevo vista pallida. Non era la solita. Forse, se non fossi partito e fossi stato più attento, mi sarei reso conto che le stava capitando qualcosa di brutto>>. La voce di Aleardo era affranta dal dolore.​
<<Non potete farvene una colpa>>. Ancora Carlotta. <<Come potevate immaginare?>>.​
Ma che cosa stavano dicendo? Che cosa stava succedendo? All’improvviso un pensiero lucido le attraversò la mente e ricordò. Ricordò la sensazione di malessere, quel senso di sbandamento, la debolezza che l’aveva assalita. Poi rivide la tavola apparecchiata, la selvaggina che indorava sul fuoco. E quell’improvviso dolore al petto. Subito dopo, il nulla. Era come se il suo cervello si fosse spento all’improvviso. Quanto tempo era trascorso da quel momento? Che cosa le era capitato? Adelaide provò una sensazione orribile. Si sentì invadere dal panico. Aveva gli occhi aperti, lo percepiva chiaramente. Eppure era tutto buio. Riuscì a muovere a fatica una mano e cercò di allungarla verso il nulla. Avvertì sotto le dita una stoffa scivolosa al tatto, simile a seta. Era ondulata. Il suo corpo pareva immobile, come se si rifiutasse di rispondere ai comandi del cervello. Poi, con uno sforzo immane, mosse a fatica un piede. Lo allungò il più possibile e con la punta delle dita avvertì un ostacolo a pochi centimetri. Si rese conto che indossava le scarpe. Con la mano si sfiorò il petto: il bustino di pizzo con i nastri di seta. Il suo abito più bello. Fu in quel momento che comprese: non era nel suo letto, era in una bara. Il terrore si impadronì della sua mente. Avrebbe voluto urlare, scalciare con le gambe, prendere a pugni il legno che la rinchiudeva, ma si sentiva troppo debole, non aveva forze negli arti e non aveva voce che uscisse dalla bocca, se non un debolissimo afflato.​
Un uomo comunicò in quel momento che dovevano sigillare la cassa. <<Signore, volete che la scoperchiamo per darle un ultimo saluto?>>, si interessò.​
“Sì, vi prego, Aleardo, dite di sì! Salutatemi ancora, vi scongiuro!”.​
Non udì la risposta. Si immaginò la testa del marito che si scuoteva in un diniego.​
Udì un rumore acuto che passava tutto intorno alla sua persona. “Oddio, no!”. Stavano saldando la cassa. ​Percepì un movimento e avvertì il proprio corpo dondolare. Non era lei a muoversi, ma la bara nella quale giaceva.​
“Aiuto, Aleardo! Aiutatemi! Non sono morta! Sono viva. Fate aprire la cassa, vi prego, tiratemi fuori di qui!”, urlava la voce nella sua testa. “Vi prego, Aleardo, aiutatemi! Non permettete che mi seppelliscano! Sono viva! Sono viva!!!”.
Nella disperazione più assoluta, Adelaide Maltese assistette impotente al proprio funerale. Poteva sentire l’organo che accompagnava i canti corali. Le parole del sacerdote che rimbombavano nella volta dell’ampia navata le giungevano soffocate all’interno della cassa. ​
Poi di nuovo il suo corpo riprese a dondolare. Avvertì un rumore, sentì il legno sbattere contro quello che doveva essere il carro funebre: dovevano averla caricata, pronta per il trasporto al cimitero. ​
Il tragitto non durò a lungo. ​
Di nuovo il rumore del legno che strisciava sul fondo del carro, di nuovo il dondolio. Si immaginò che la stessero portando a spalla verso la fossa. ​
“Signore, ti prego, fammi morire subito!”, pregò. Ma il suo cuore aveva ripreso a battere regolarmente. Sarebbe stata comunque questione di poco. Già sentiva il respiro farsi sempre più corto. Mancava ossigeno là dentro. Percepì il rumore delle palate di terra che andavano a sbattere sulla cassa. “Che morte stupida!”. Fu quello il suo ultimo pensiero. ​
L’immagine di Carlotta al fianco di Aleardo le attraversò la mente. Era certa che lo avesse preso sotto braccio e che si fosse stretta a lui.


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