"L'elisir di Giulia" di Laura Veroni


 

Giulia De Marco era la donna più bella che avesse mai visto. Ogni volta che entrava nello studio legale del marito, l’avvocato Gualtiero, e gli passava davanti, lasciava dietro di sé una scia di profumo, di quelli intensi e inebrianti. Ma lui, Alberto Franchi, era solo un giovane assistente e non poteva certo sperare di ottenere le sue attenzioni. A malapena lo degnava di uno sguardo e di un cenno di saluto con un sorriso che aveva un che di costruito e di artefatto.​
Però, che donna! Un corpo statuario, due occhi verdi come smeraldi, lunghi capelli neri, lucidi come seta, un viso dai lineamenti perfetti, la mascella squadrata, il naso sottile, le labbra carnose. Sempre vestita in modo impeccabile, mai un solo dettaglio fuori posto.​
La guardò entrare anche quella mattina. Svettava superba, su quegli altissimi tacchi a spillo con la punta in acciaio che ticchettavano sonoramente sul marmo del pavimento, tirato a lucido.​
Gli rivolse un sorriso di circostanza. Alberto ricambiò con un cenno del capo e la guardò passare oltre, diretta verso l’ufficio dell’avvocato. I fianchi stretti, fasciati nel tubino grigio perla, gli ondeggiarono davanti agli occhi, stimolando visioni off limits. Il limite era quello delle sue fantasie. Purtroppo. Quanti anni poteva avere la moglie dell’avvocato? Una trentina? Alberto si domandò perché mai le donne giovani e belle finissero spesso nel letto, prima, e nella vita, poi, di uomini come il suo capo. L’avvocato doveva avere almeno il doppio degli anni della moglie, forse anche qualcuno in più. Si chiedeva se il loro fosse un rapporto di amore o di convenienza. Di reciproca convenienza, si intende! Lui poteva presentarsi alle cene di gala, esibendo una bella consorte, partecipare alla vita dell’alta società senza sfigurare, anzi, invidiato dai più, vista la rara bellezza di Giulia; lei poteva godere del cospicuo conto in banca del marito, che le consentiva di togliersi ogni capriccio e di mantenersi sempre così impeccabilmente perfetta. La loro vita era fatta di viaggi all’estero, di mondanità, di lusso e di sfarzo. Beati loro! Alberto si sarebbe accontentato anche di una minima parte del patrimonio dell’avvocato, ma la moglie… quella l’avrebbe voluta tutta quanta. ​
Giulia scomparve dietro la porta dell’ufficio in fondo al corridoio e Alberto si costrinse a riprendere la concentrazione sul documento che stava esaminando prima che lei entrasse. Era lì per imparare il mestiere, non per sbavare dietro a un bocconcino tanto prelibato quanto irraggiungibile.
<<Che ne direbbe di venire a casa nostra per cena, una di queste sere?>>. Giulia De Marco era appena uscita dall’ufficio del marito e si stava stendendo con studiata noncuranza il rossetto sulle labbra, osservando la propria bocca nel minuscolo specchietto dorato che teneva tra le dita. Gli aveva rivolto l’invito senza nemmeno guardarlo in faccia.
Alberto sentì le viscere aggrovigliarsi come la matassa del gomitolo di lana che sua nonna lo obbligava a sbrogliare, quand’era bambino. Provò, nel contempo, un violento tuffo al cuore. Doveva essere anche arrossito. Ma era certo di avere capito bene?​​
<<A cena?>>, ripeté l’assistente quasi balbettando.​
Fu allora che Giulia gli puntò quei due smeraldi dritti in viso e sfoderò un sorriso, disarmante come lui non ne aveva mai visti.​
Alberto rimase interdetto e non proferì parola.​
<<Devo prenderlo come un sì?>>. Il tono era suadente.​
Gli stava davanti, la divina, in tutto il suo splendore.​​
<<Sì, certo, signora De Marco>>, gli riuscì infine di dire. <<Sarò onorato di presenziare>>.
“Sarò onorato di presenziare”… Ma da dove gli erano uscite quelle parole così stupide? Si sentì un idiota.​
<<Bene>>, proseguì lei. <<Allora mio marito la informerà non appena avremo organizzato. Può portare anche la sua fidanzata, naturalmente>>.​
Alberto fissava quelle labbra rosse come due fragole, mentre si muovevano morbide, emettendo suoni soavi. <<La ringrazio, signora>>, disse. <<Glielo dirò sicuramente>>.​
<<Bene, a presto, allora!>>. Giulia sorrise e si diresse verso la porta, lasciandolo con l’aria trasognata e gli occhi incollati al suo fondoschiena.​
Non avrebbe mai immaginato che una donna come Giulia sapesse cucinare, ma, soprattutto, non avrebbe mai immaginato che, in quella sontuosa villa, con tanto di maggiordomo, non ci fosse una cuoca a farlo. Alberto si figurava una donna servita e riverita, viziata all’inverosimile dal marito, la immaginava come una a cui bastasse schioccare le dita per ottenere qualsiasi cosa. Averla vista arrivare incontro agli ospiti con indosso il grembiule da cucina lo aveva favorevolmente sorpreso. La trovava splendida anche così. ​
<<Prego, accomodatevi!>>, la signora De Marco li invitò a entrare. <<Non rimanete qui nell’ingresso>>.​
Diede disposizione al maggiordomo di prendere i soprabiti e di portarli nel locale guardaroba.
<<Mio marito arriva subito>>, disse Giulia, asciugandosi le mani nel grembiule. <<E’ in salotto a fumare la pipa. Siete in leggero anticipo>>.​
Alberto si sentì in imbarazzo. <<Siamo in anticipo?>>, domandò.​
<<Leggero>>, ripeté la padrona di casa, sorridendo. <<Soltanto di mezz’ora>>.​
<<Sono terribilmente spiacente, signora De Marco…>>.​
<<Giulia, la prego!>>, lo interruppe lei.​
Era cordiale come non si sarebbe mai aspettato. <<Mi perdoni, signora…>>.​
Lei lo guardò con un sorriso compiacente. <<Giulia>>, lo corresse.​
Alberto arrossì. <<Giulia>>, ripeté. <<Avevo capito che l’incontro era per le otto>>.​
<<Non c’è nessun problema. Mio marito vi terrà compagnia, fino a quando non sarà pronta la cena>>. Poi si rivolse all’accompagnatrice dell’ospite: <<Immagino che lei sia la fidanzata di Alberto>>.​
Il giovane assistente intervenne: <<Certamente, mi scuso per non avere fatto le presentazioni subito. Lei è Alessandra>>.​
Giulia si pulì nuovamente la destra nel grembiule e la porse alla donna che le stava di fronte. <<Tanto piacere di conoscerla, Alessandra>>.​
La ragazza corrispose, sorridendo. Sembrò mal celare un certo imbarazzo. Sicuramente non era mai stata in una casa come quella, prima di allora, e non aveva mai frequentato persone di alto rango. Alberto se ne avvide. Del resto era comprensibile: si trovava davanti alla moglie del principale del suo fidanzato, e questo doveva metterla ancor più a disagio, ma, più di tutto, lui pensò, doveva soffrire terribilmente il confronto con una bellezza con la quale lei non avrebbe mai potuto competere. Conoscendo Alessandra, Alberto immaginò che dovesse sentirsi investita da un senso di inferiorità, nonostante la calorosa accoglienza.​
<<Orlando, per favore, vai a chiamare mio marito e digli che gli ospiti sono arrivati>>, disse Giulia, rivolgendosi al maggiordomo che si era messo in disparte.​
<<Subito, signora>>.​
L’avvocato fece la sua apparizione nell’atrio poco dopo, sfoderando un cordiale sorriso di benvenuto. ​
<<Bene, vi lascio in buona compagnia. Io torno in cucina. Vi raggiungerò dopo. Sono certa che mio marito saprà come intrattenervi>>. La padrona di casa si accomiatò dagli ospiti.
Alberto notò nello sguardo della donna qualcosa di diverso, rispetto alle volte precedenti. Forse perché non erano in ufficio, ma in casa, o forse perché c’era effettivamente qualcosa. Gli era parso che la sua dea gli avesse fatto gli occhi dolci. Ma no, era impossibile! Cercò di togliersi certi pensieri dalla testa.
Giulia tritò le olive con i capperi, le acciughe e mezza cipolla e mise il tutto a soffriggere in abbondante olio caldo. L’impasto sfrigolò nella padella e lei si allontanò dal piano cottura, per non essere investita dagli schizzi. Prese quindi un coperchio e lo pose sopra la padella, lasciando uno spiraglio. Raccolse dalla bacinella i pomodori che aveva precedentemente lavato, sbriciolò un pizzico di peperoncino e aggiunse il tutto al soffritto, insieme a un po’ di origano, di sale e di pepe.​Lasciò cuocere a fuoco vivo per alcuni minuti, finché il sugo non prese un aspetto un po’ ristretto, poi spense la fiamma.
Nel frattempo, versò gli spaghetti nell’acqua salata, che bolliva nella pentola sul fuoco accanto. Puntò il timer dieci minuti. ​
Non appena furono pronti, li passò nella padella, lasciandoli sul fuoco qualche minuto ancora, per farli insaporire, e si diresse in salotto.​
<<Tesoro, hai offerto da bere ai nostri ospiti?>>, si preoccupò, facendo il suo ingresso in sala da pranzo. ​
<<Certo!>>, rispose l’avvocato, facendo cenno alla bottiglia di Chardonnay al centro della tavola.​
La signora De Marco aveva dato disposizioni a Orlando che servisse la cena entro qualche minuto. ​
Alberto si voltò nella sua direzione e notò che Giulia si era tolta il grembiule. La scollatura dell’abito era ora visibile in tutta la sua generosità. Ebbe un fremito e deglutì faticosamente, guardandosi attorno, nel timore che qualcuno se ne fosse accorto. Quella donna gli dava alla testa, lo faceva letteralmente impazzire. Avrebbe fatto qualsiasi follia, se solo lei gliel’avesse chiesta. Forse era l’effetto del vino, ma si sentiva completamente inebriato ed era quasi certo che la sua presenza in quella stanza avesse il potere di aumentare quel senso di ebbrezza.​
<<Vogliamo sederci?>>, li invitò Giulia. <<Orlando servirà la cena tra pochissimo>>.​
Presero posto: Alberto e Alessandra da un lato, Gualtiero e Giulia da quello opposto, una coppia di fronte all’altra.​
<<Che cosa prevede il menù questa sera?>>, si interessò Gualtiero.​
<<Spaghetti all’arrabbiata>>, rispose. Poi guardò gli ospiti: <<Spero incontrino i vostri gusti>>.​
<<Adoro il cibo piccante!>>, esclamò Alberto.​
<<Benissimo, perché questa sera, mi sono venuti particolarmente arrabbiati!>>, scherzò Giulia.​
I commensali risero della battuta.​
Era anche brillante, la signora De Marco, non solo bella! Chissà quante altri doti celava…
Alberto non riusciva a togliersi dalla testa le sue fantasie. Ah, se anche lei fosse impazzita per lui! ​
La mente del giovane riprese a vagare. Si estraniò dai presenti e cercò rifugio in quel piccolo spazio che aveva riservato alla donna dei suoi sogni. Immaginò che scoppiasse un temporale improvviso, che le luci si spegnessero e che lei, mossa da una incontenibile passione nei suoi confronti, si alzasse, gli si avvicinasse e lo baciasse con trasporto, incurante della presenza degli altri due.​
<<E’ veramente un vino favoloso, non trova anche lei, Alberto?>>.​
La domanda di Gualtiero lo fece sobbalzare. Provò un certo pudore, quasi che le sue fantasie si fossero materializzate nella stanza, davanti a tutti.​
Sollevò l’elegante bicchiere e sorseggiò piano.​
<<E’ stato prodotto con uve Chardonnay>>, fece notare l’avvocato. <<Osservi i riflessi verdognoli, assapori la freschezza e la fragranza dei profumi fruttati>>. Lo annusò. <<Non le ricorda la pesca, la banana, la crosta di pane fresco?>>. Ne prese un altro sorso, lo tenne in bocca per un po’, poi lo lasciò scendere lungo la gola. <<La sente in bocca la leggera acidità che ne esalta il sapore invitante, discreto, fine?>>.​
Alberto non disse nulla.​
<<Non ci faccia caso>>, intervenne Giulia. <<Mio marito si crede un intenditore di vini. Ha seguito un corso per sommelier, tempo fa, e ora pensa che tutti possano essere interessati ai suoi giudizi su quello che bevono>>.​
Orlando entrò col grande vassoio d’argento, sul quale troneggiava una zuppiera in ceramica, dalla quale, tolto il coperchio, si diffuse all’istante il profumo delle spezie misto a quello del sugo.​
<<Hanno un aspetto delizioso!>>, osservò l’ospite.​
<<Aspetti a farmi i compimenti>>, lo interruppe Giulia. <<Prima li assaggi!>>.​
<<Deliziosi! Veramente gustosi!>>, commentò Alberto con aria esageratamente convinta.
Alessandra scoccò un’occhiata torva al fidanzato. La sua espressione sembrava dire: “Ora stai esagerando. Stai veramente facendo la figura dell’imbecille”. Era fin troppo evidente che stesse facendo il cascamorto con Giulia De Marco.​
Se ne doveva essere accorto anche l’avvocato, che dava l’impressione di controllare ogni mossa della moglie e del giovane assistente.​
A un tratto, Alessandra avvertì uno strano movimento sotto il tavolo, poi comprese che si trattava di un piede che le stava strofinando la caviglia. Non osò alzare lo sguardo e tenne gli occhi fissi nel piatto, lasciandoli affogare nel sugo, piccante come quella situazione. Il movimento sotto il tavolo andò avanti per un po’, poi smise all’improvviso.​

Intanto nella mente di Albero si materializzò un’idea tanto maliziosa quanto insperata: quei due erano dediti a una pratica piuttosto in voga nell’alta società, lo scambio di coppia. Si spiegava in quel modo la ragione di un invito a cena così inaspettato. Era certo di non sbagliarsi.​
Il maggiordomo si avvicinò a Giulia e le bisbigliò qualcosa all’orecchio.​
<<Ma certo, Orlando, vai pure! Qui ci arrangiamo da soli, non abbiamo più bisogno di te>>.​
L’uomo si congedò, inchinandosi al cospetto degli ospiti.​
<<Bene, ora che il domestico ci ha lasciati, servirò io il resto della cena!>>, annunciò Giulia con aria trionfante. <<Ho preparato un delizioso flan di grana con funghi gallinacci! E’ un piatto molto particolare che sono certa non vi deluderà. E’ per intenditori>>.​
Quando lasciò gli ospiti, per recarsi in cucina, Alberto pensò a una scusa per seguirla. Temeva però la reazione di Alessandra: avrebbe accettato quella situazione? ​
Decise di frenare l’impulso, forse non era ancora il momento. Fece ricorso a tutta la sua forza di volontà per rimanere incollato alla sedia. Si perse, però, tra i suoi pensieri, volgendo lo sguardo verso la finestra, dalla quale si poteva ammirare lo spettacolo del parco illuminato dai faretti. ​

Anche Gualtiero, tra una portata e l’altra, aveva fantasticato sulla giovane donna dagli occhi azzurri che gli sedeva di fronte. Era attratto dalla sua fisicità. Alessandra era l’opposto di sua moglie: meno raffinata, meno femminile, un viso dai tratti duri e spigolosi. Anche l’abbigliamento non era certo del genere di Giulia. Lei mai avrebbe indossato i pantaloni, soprattutto come quelli, dal taglio decisamente maschile. Alessandra non metteva in evidenza nessuna curva, nessuna parte del suo corpo e questo lo incuriosiva ancora di più e lo spingeva a immaginare che cosa potesse esserci sotto a quegli abiti così poco femminili. La ragazza non aveva quasi mai parlato. Doveva essere molto riservata. Ma chissà tra le lenzuola! Magari era una tigre. La fissò dritto negli occhi e lei sostenne il suo sguardo. A Gualtiero non era sfuggito il momento in cui, durante la cena, sul volto di Alessandra erano comparsi i segni di una malcelata eccitazione sessuale. Non si sbagliava, era sempre stato in grado di riconoscere quei segnali. Ne era certo: sarebbe stata sua quella sera stessa. Il problema era Alberto, ma il giovane era un suo dipendente. Gli sarebbe convenuto girarsi dall’altra parte. L’avvocato De Marchi, del resto, lo aveva sempre ritenuto un senza palle.
A fine cena, sedettero tutti sul sofà, attorno al tavolino di cristallo. I discorsi di lavoro dei due uomini si accavallavano a quelli delle due donne sui piatti della serata. Alessandra si fece dare la ricetta del flan.​
A un certo punto, Gualtiero si rivolse ai suoi ospiti: <<Gradite un liquore?>>, domandò. <<Ne abbiamo uno specialissimo, che non si trova in commercio. Lo produce un mio cliente a numero limitato di bottiglie l’anno>>. Fece per alzarsi, ma la moglie lo fermò.​
<<Lascia, tesoro, ci penso io!>>. Si diresse verso il mobile bar.​
<<Scusate, avrei bisogno del bagno>>, disse a un tratto Alberto, alzandosi dal sofà. Sperava tanto che Giulia si offrisse di accompagnarlo.​​
<<Certamente!>>, esclamò lei con cortesia. Lo accompagnò fino alla porta del salotto e uscirono insieme nell’atrio.​
Rimasto solo con Alessandra, Gualtiero approfittò per allungare subito una mano sulla sua coscia e accarezzarla. La ragazza lo lasciò fare. La guardò languido, gli occhi pieni di libidine. Si sentiva febbricitante. <<Trova il modo di liberarti di lui, dopo>>, le disse. <<Chiedi di andare in bagno. Vedrò di accompagnarti io>>.​​

Alberto intanto attendeva che Giulia facesse la prima mossa. <<Non mi mostri dove si trova?>>, le domandò, dandole improvvisamente del tu.​
<<E’ quella porta in fondo al corridoio>>, rispose la padrona di casa. Si voltò e tornò verso la sala.​
Probabilmente i tempi non erano ancora maturi. In fondo Alberto sapeva così poco delle regole di quel gioco erotico, ma non poté fare a meno di rimanere deluso. ​
Sorseggiavano il liquore, abbandonandosi agli effetti dell’alcol, senza opporre resistenza. Mollemente seduti sul sofà, parlavano del più e del meno, con voce sempre più bassa, i gesti lenti. L’elisir era veramente buono, ma esageratamente alcolico. ​
Si udì un rombo di tuono in lontananza e un bagliore rosa squarciò la notte. Il vento prese a soffiare forte. Dall’interno del salotto, dove la luce era soffusa, si vedevano le cime dei pini violentemente scosse.​
<<Credo sia in arrivo un temporale>>, osservò Giulia.​
Un altro tuono, questa volta più potente. La luce tremolò.​
<<Sarà meglio andare a casa, prima che arrivi il diluvio>>, suggerì Alessandra, guardando Alberto.​
<<Temo sia troppo tardi: sta già piovendo>>. Gualtiero si era alzato e osservava fuori dalla finestra.​
In breve le prime gocce si trasformarono in una pioggia torrenziale.​
<<Perché non vi fermate qui, questa notte?>>, domandò agli ospiti. <<Abbiamo diverse stanze vuote>>. Non riusciva a credere a quel colpo di fortuna: persino il tempo era dalla sua parte.​
Anche Alberto pensò che quello fosse un segno del destino: Giulia sarebbe stata sua quella notte stessa.
La porta della stanza si aprì lentamente, facendo filtrare una sottile striscia di luce. La figura avanzò verso il letto, nel silenzio più assoluto. Si avvicinò alla sagoma che si stagliava scura contro la parete, la prese per mano e la baciò sul collo. ​
Alberto russava sonoramente.
<<Hai un buon profumo>>, disse. <<Andiamocene di là>>. ​
<<Ma…>>.​
<<Non temere: il sonnifero ha funzionato. Il suo effetto durerà fino a domattina. Abbiamo tutta la notte per noi>>.​
Condusse Alessandra verso la camera vuota, di fronte a quella in cui Alberto dormiva profondamente, e richiuse la porta alle loro spalle.​
Accese la luce. ​
Gli occhi di smeraldo si tuffarono nell’azzurro degli occhi che luccicavano languidi e invitanti nell’altro viso. Giulia la baciò sulla bocca e la strinse a sé. <<Quando ti ho fatto piedino sotto al tavolo, ho capito subito che mi desideravi anche tu >>.


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